Inter: dalle stelle alle stalle, un decennio senza vittorie

Inter 2010-2019: un decennio di Inter tra una “somma gioia” e “molti” dolori

Tra lacrime di felicità o tristezza. Un decennio più nero che azzurro. Ripercorriamolo insieme.

Era la notte di Madrid: l’Inter sul tetto d’Europa!

Che notte quella notte. La notte del Bernabeu. La notte della doppietta del Principe. La notte della Champions.
L’ultima vinta da una italiana. L’Inter saliva sul tetto d’Europa. I nerazzurri di Mourinho realizzavano l’impresa che tutti sognavamo e che in tanti, ancora oggi, ci invidiano.
Era la fine di un ciclo, anche se il 2010 ci avrebbe portato in dono altre vittorie.

È stato l’anno del Mondiale per Club. Non solo sul tetto d’Europa, ma del Mondo.

È stato l’anno in cui siamo stati l’ultima italiana col più alto rendimento d’Europa e non solo. Il 2010 un anno pieno di grandi soddisfazioni. Di sole gioie, anche se qualche nube all’orizzonte stava per presentarsi.
Il dominio nerazzurro, fino a quel momento assoluto, inizia a perdere vigore e potenza.

L’Inter inizia a mostrare i primi segnali di difficoltà

La squadra capace di vincere tutto solo pochi mesi prima comincia a palesare le prime grosse difficoltà.
La quinta Supercoppa Italiana, la Champions, il Mondiale per club e l’ultimo trofeo, ovvero la settima Coppa Italia, resteranno le ultime vittorie di questa nostra gloriosa società.
il 2011 ci lascerà solo l’amaro in bocca per uno scudetto perso (quasi) al fotofinish, per la scelta del successore di Mou che non è mai riuscito a legare con l’ambiente e i calciatori e con tutto ciò che abbiamo vissuto, stagione dopo stagione, fino a poco tempo fa.

Insuccessi e sconfitte: Gasp, Ranieri e Stramaccioni

Dopo la vittoria della Coppa Italia nella stagione 2011 l’Inter non riesce più a ritrovare sé stessa e il feeling con le vittorie. La società non attraversa un periodo florido da un punto di vista economico e l’era di “papà” Massimo Moratti sembra veramente alle sue ultime ore.
Alla guida tecnica si opta per un allenatore dalle grandi qualità. Un emergente. Una figura “rischiosa”, quel Gasperini che tanto bene aveva fatto in “provincia” e che adesso era chiamato a dimostrare il proprio valore anche in un Top Team.
La sua prima ufficiale fu già una debacle. Di fronte avevamo il Milan. Non era una amichevole, ma ci si giocava al Supercoppa Italiana. Vinsero i “cugini”.
Il seguito non fu certamente migliore rispetto al suo esordio. Tra campionato e Coppa Campioni Gasp faticò parecchio a trovare il bandolo della matassa e dopo l’ennesima sconfitta fu messo alla porta.
Fu sbagliato, a mio avviso, non dargli il tempo di provarci. Fu sbagliato scommettere su di lui con una fiducia a tempo. Gasperini sta dimostrando, ancora oggi, di essere un ottimo allenatore, ma che ha bisogno di tempo, molto tempo, per poter lavorare bene.
Fuori Gasp fu chiamato al suo posto Claudio Ranieri. Il “vecchio nemico” di mille battaglie. La cura Ranieri sembrava funzionare, fino a quando non arrivò il SOLITO maledetto black out.
È fisiologico. Non c’è nulla da fare. All’Inter il calo arriva sempre. È scontato.
C’è sempre un periodo pieno di risultati e sorrisi. In cui tutto sembra andare bene e funzionare alla perfezione. Poi, ad un tratto, proprio come una bolla di sapone, pufffff… per magia si rompe l’incantesimo e si ripiomba nel caos.
È il marzo del 2012 e anche Claudio Ranieri viene fatto fuori. Al suo posto verrà promosso Stramaccioni, allenatore della Primavera nerazzurra. Con lui l’Inter sembra trovare nuova linfa, recupera qualche posizione in classifica e chiude con un modesto sesto posto la propria stagione.
L’anno seguente, con ancora Andrea Stramaccioni alla guida tecnica, i nerazzurri sembrano tonici e nuovamente pronti per dare filo da torcere in campionato. ma anche questa stagione sarà per noi deludente e ricorderemo Stramaccioni solo per l’impresa dello Juventus Stadium, i primi a battere i gobbi in casa loro. Che goduria!
Mentre fuori dal campo si rincorrono voci su una possibile cessione dell’Inter, Moratti cambia ancora la guida tecnica della propria squadra e si affida al “vate di San Vincenzo”, l’uomo capace di compiere veri e propri miracoli sulla panchina del Napoli: Walter Mazzarri.

La fine di un’era: l’addio a Massimo Moratti

Mazzarri fu l’ultima scommessa di Moratti come presidente dei nerazzurri. Di lì a poco si sarebbe registrato un eclatante cambio di guardia ai vertici nerazzurri. L’Inter viene messa ufficialmente in vendita.
Cala definitivamente il sipario sull’era Moratti e la maggioranza delle quote societarie passano di diritto a Erick Thohir.
Siamo alla fine del 2013 e l’Inter non naviga certamente in buone acque.
I risultati sportivi non sono esaltanti. Gli ultimi “reduci” del “triplete” hanno da sparare le ultime cartucce e con il passaggio di consegne in proprietà sembra che sia impossibile ripercorrere i vecchi fasti.
La società nerazzurra non gode di buona salute. Le casse sono in rosso e inzia un percorso di risanamento che sarà lungo e dispendioso.
Intanto Mazzarri è la prima vittima di Erick Thohir, l’allenatore livornese viene cacciato nel novembre del 2014, al suo posto torna sulla panchina nerazzurra Roberto Mancini. La prima scommessa sportiva di mister Thohir.
Il ritorno del Mancio non porta gli effetti desiderati. L’Inter resta fuori dalle Coppe e vive una stagione anonima, mentre l’anno seguente chiude il campionato al quarto posto, dopo essere stata per lunga parte del girone di andata in cima alla classifica.
Se da un lato i risultati sportivi non arrivano, dall’altro la società inizia un percorso di crescita molto interessante.
Il lavoro del magnate indonesiano è encomiabile. Il numero uno nerazzurro si affida elle figure più importanti del mondo del management sportivo e, passo dopo passo, costruisce basi solide su cui poggiare la costruzione di una “Nuova Inter”.

L’avvento dei cinesi del gruppo Suning

L’ennesimo scossone in casa Inter arriva dall’alto. Cambiano nuovamente i vertici proprietari, Thohir lavora scrupolosamente alla cessione delle quote di maggioranza del club.
La proprietà passa nelle mani di un gruppo asiatico, cinese per l’esattezza. Si tratta del colosso Suning Holding Groups.
Nuova proprietà uguale più soldi? Sembra non possa andare precisamente così e pochi giorni dall’inizio del campionato Roberto Mancini saluta tutti e si congeda dall’Inter.
Iniziare una nuova stagione, con una nuova proprietà e senza un allenatore non è proprio il massimo.
Suning dimostra di non avere le idee molto chiare. I tifosi cominciano a rumoreggiare e la stampa inizia a spararci contro. Intanto la squadra viene affidata a Frank De Boer, ma il tecnico olandese fallirà clamorosamente, registrando umiliazioni sia in Italia che in Europa (quella meno nobile, sia chiaro!).
L’ambiente è nel caos più totale, i tifosi sul piede di guerra e il tecnico olandese viene allontanato per far posto a Stefano Pioli.
Con l’ex Lazio in panca l’Inter inizia a sognare in grande. La rimonta ottenuta in campionato a quasi dell’incredibile. I nerazzurri sono lì, vivi e in corsa per l’unico piazzamento possibile: il terzo posto.

Dalle stelle alle stalle: il solito black out e game over

Con Pioli l’Inter trova entusiasmo e risultati. La qualificazione in Champions, obiettivo primario per i nerazzurri, sembra poter essere alla portata del gruppo, ma ecco l’ennesimo black out che spegne i sogni di gloria. L’Inter incappa in un filotto di sconfitte e in una crisi di risultati da cui non riesce a venire fuori.
Qualcuno nel gruppo sembra aver staccato la spina e a pagare è, ancora una volta, il tecnico. Al posto di Pioli viene promosso in prima squadra Stefano Vecchi, l’allenatore della Primavera nerazzurra.
La stagione 2016 si chiude come peggio non si poteva immaginare. Al settimo posto, dietro di un solo punto al Milan e fuori dall’Europa. Ancora una volta.

Programmazione, solidità economica e i risultatati di Spalletti

In società si lavora per rendere il futuro nerazzurro più roseo. La stagione 2016/2017 inizia con una grande novità. La guida tecnica del club viene affidata a Luciano Spalletti e la società cerca di accontentare il più possibile le richieste del neo tecnico.
Il campionato è difficile fare troppi voli pindarici. Gobbi e Napoli sono troppo lontani da noi e il campo mette ben in chiaro quelli che sono i valori delle squadre. La formazione nerazzurra però inizia bene il campionato, lotta su ogni campo e non sfigura contro nessun avversario.
L’obiettivo resta un piazzamento Champions (adesso allargato anche alla quarta in classifica) e la cosa sembra poter essere alla portata degli uomini di Spalletti.
Ma la prima stagione del tecnico di Certaldo sarà un’alternanza di luci e ombre. Tutto ad un tratto nel gruppo iniziano a palesarsi i primi problemi e le prime grane. I risultati iniziano a mancare e quel quarto posto diventa sempre più un miraggio.

Dalla notte di Madrid a quella dell’Olimpico

L’Inter si gioca tutto in novanta minuti. Una intera stagione in una sola notte. Da Madrid a Roma. Dalla “fine” all’”inizio” di una nuova Inter. Di una nuova era.
Serve vincere per ottenere l’Europa che conta. Per ottenere quei milioni di euro necessari per risanare il bilancio. Serve una vittoria per poter iniziare a scrivere la propria storia.
Sarà la partita della “svolta”, sarà la rimonta che rispedirà l’Inter tra le “stelle”, che riaprirà ufficialmente le porte dell’Europa ai nerazzurri.
Il secondo anno di Spalletti doveva essere il consolidamento del suo lavoro. Della programmazione fatta dalla società. Ma così non sarà.
In seno alla società scoppiano nuove grane. L’allenatore si ritrova in casa dei problemi che deve affrontare quotidianamente. Storie di ammutinamenti, litigi, giocatori svogliati.
Lo Spalletti-bis tanto formalità non è e non sarà. Dopo l’eliminazione dalla Champions si capisce che il futuro del tecnico è segnato. La squadra dimostra di aver perso mordente. Di non aver una guida solida.
I risultati sono altalenanti e il quarto posto per il secondo anno di fila risulta essere una disfatta, piuttosto che un traguardo importante.
Spalletti pagherà per colpe non sue. Il tecnico di Certaldo verrà congedato, ma molto di quello che siamo è dovuto a lui.
Il suo lavoro è stato importante per gettare le basi per l’Inter che abbiamo oggi e che Conte sta conducendo a ritmi e velocità pazzesche.
Con Spalletti alla guida tecnica siamo tornati vivi e protagonisti. Siamo riusciti a ritrovare il nostro fascino e il nostro appeal anche fuori dai nostri confini.
Il tecnico toscano ha fatto il possibile e va solo ringraziato. Va ringraziato per gli sforzi profusi nel momento del bisogno, per il modo in cui si è frapposto tra società e tifosi ed è riuscito ad incarnare l’interismo. Va ringraziato perché ha pagato anche per colpe non sue. Va difeso e ringraziato.
Lui, più di altri, ha fatto sì che questa squadra tornasse lì in alto.
La fine del decennio nerazzurro è chiaramente limpida. Pieni di tanti colori sfavillanti.
Oggi Conte può contare su una società seria, solida e ambiziosa. Su un progetto forte e su un gruppo che non vive di personalismi.
Oggi l’Inter è viva. È tornata. Il merito è di chi, fino a ieri, ha messo dentro qualcosa di suo. Nel bene o nel male.
Il merito lo si ritrova nel lavoro di Spalletti, ma anche e soprattutto nelle dichiarazioni al vetriolo di allenatori a cui è rimasto il dente avvelenato. Che gli è rimasto poco dell’Inter dentro.
Il merito è delle vittorie importanti ed eclatanti, come quelle di Torino, ma fondamentalmente inutili. Nei tanti derby vinti e nella supremazia di Milano acquisita nel corso di questo decennio, ma soprattutto nelle sconfitte. Nei momenti più bui. È lì che sta il merito. Nel saper imparare dai propri errori e/o fallimenti.
Oggi siamo una bella realtà. Non ancora forti come vorremmo o vorrebbe il nostro allenatore, ma non molliamo di un millimetro. Siamo sempre pronti a lottare con i denti.
Perché è importante festeggiare questo nuovo decennio con qualche nuova vittoria. Quelle che in casa nostra mancano da tanto.