Cos’ha rappresentato veramente Diego Armando Maradona?


Chiedersi cos’ha rappresentato Diego Armando Maradona a livello calcistico è piuttosto semplice. Non banale, certo. Però insomma, tutti quelli che conoscono il calcio, saprebbero imbastire un discorso sul famoso numero 10.

Pensando alla nostra “social-società”, diremmo che è facilissimo trovare l’ispirazione per cinguettare o twittare più su di lui che su altri. Voglio dire le qualità impressionanti, credo, ormai le conoscano tutti. Secondo me anche i millenial e le generazioni giovanissime. Ma è altrettanto facile aprire un dibattito su Diego Armando Maradona come uomo? Soprattutto senza cadere nel facile tranello della retorica moralistica?

25 novembre 2021: Maradona morto

Lo vociferano dall’Argentina, perché queste notizie si sibilano appena, da tanto che fanno male:”Maradona è morto”. E bisogna pronunciarlo così, con l’accento calcato su quel cognome, che da solo fa nome, soprannome, ricordi, prodezze, colpi di testa, giocate, dribbling, fughe, polemiche, “stranezze”, vite spericolate, colpi di genio, feste, sorrisi, caviglie, gambe, baricentro, dribbling e insomma chi più ne ha ne metta. Il giornalista Buffa nel suo  speciale a lui dedicatogli lo ha definito “Il Picasso del calcio” e d’altronde chi ha dipinto certe traiettorie e chi ha scolpito i cuori dei tifosi di calcio non poteva non meritarsi un onore simile.

Lo scorso anno la sola notizia che il giocatore più forte del secolo fosse davvero morto, riaccese i cuori di chi quell’uomo, nel bene o nel male l’ha vissuto. È una fiamma, però, amara e acre.

Ma è stato un lumino da chiesa, che gli ha donato l’ultimo improvviso e inaspettato salutato. Un addio all’uomo che, diciamocelo tutto, ha cambiato la storia di questo sport.

Perché uno così puoi o detestarlo per come ti fa girare la testa in campo o lodarlo fino alla fine.

Diego Armando Maradona: leader del popolo

Eppure io credo, senza fallo, che il vero valore come giocatore non sia mai stato colto realmente. Perché, non solo dal punto di vista tecnico, non c’è quasi nessun neo da francobollargli, ma anche da un punto di vista carismatico, non gli si può rimproverare niente.

Ha rappresentato uno di quei pochi giocatori che hanno avuto il coraggio di fare scelte di vita e di carriera che oggi nessuno farebbe. Mi spiego meglio.

Dagli Anni ’90 ad oggi il percorso di un giocatore di evidenti doti tecniche e realizzative è fatto di passi graduali e tappe quasi obbligatorie: esordio in una Primavera giovanile; a seguire poi l’approdo in prima squadra in un compagine che a volte lotta a metà classifica; quindi passaggio a una grande squadra; infine, nel pieno della carriera, l’approdo in una delle migliori d’Europa. Certo non è che per tutti accade così, ma la celerità con cui i giocatori (fra prestiti, bonus, riscatti e comproprietà) vanno via dalle squadre, a volte, anche in campionati di poco pregio, è impressionante.

Lui no!

Dopo aver indossato la maglia del Boca Junior è stato notato dal Barcellona. E voglio dire il Barca o il Real sono due delle realtà più ricche e floride del nostro calcio.

Sì, forse quel Barcellona non era così composto di campioni come oggi, ma pur sempre era una squadra gloriosa.

Qui è rimasto solo due anni (fra infortuni e malumori) e hai vinto una Coppa Nazionale. Poi, arriva, Ferlaino e lo chiama. Lui accetta la chiamata di una squadra che allora non era uno “squadrone” e di una città che, a quel tempo, era considerata fra le più povere d’Italia. Invero il campionato di Serie A era il più prestigioso del momento e forse il più ricco del mondo. Giocavano campioni di lusso e le squadre erano assai competitive.

Questo vuol dire che sapeva di intraprendere una sfida. Ma non sapeva se l’avrebbe vinta. Ecco questo è il valore umano e carismatico che gli riconosco: “Aver fatto una scelta”!

Averla portata fino in fondo, con tutti i rischi annessi (gettar alle ortiche anni di successi) e averla rispettata quasi fino alla fine. Con il Napoli e con l’Argentina. Perché anche l’Albiceleste non era considerata degna di vincere proprio niente nel 1986.

Poi arrivi Lui, porta il morale alto. Fa giocare tutti a meraviglia. Porta allegria e fiducia. Trasmette forza mentale. Come disse Ferrara: “Avevamo capito che non dovevamo solo battere la Juventus, il Milan e l’Inter, ma tutte le squadre“. Ha instillato gioia, forza e speranza in tutti quelli che giocavano in campo con lui. Ha fatto fare goal a giocatori che senza di lui, forse, non avrebbero acquisito la fama che ancora oggi portano.

Ha deciso di fare il “Masaniello” di Napoli moderna. Anche se i primi anni non vinceva niente. Con la prima partita finita 3-1 per l’avversario e il primo campionato concluso da ottavi. Qualunque altro giocatore di oggi avrebbe preso le valigie e con il suo procuratore avrebbe cercato destinazione nelle squadre del Nord Italia o in quelle spagnole o in quelle di Premier League. Attratto da piogge di milioni di euro, contratti, premi e trofei.

Lui, invece, non ha cercato mai tutto questo. Lui si è immolato per una causa: l’onore di Napoli. La gloria dell’Italia del Sud.

Ha vinto Lui! Soltanto Lui. Tutto da solo. Lui: uomo-squadra, uomo-spogliatoio, uomo-di Napoli, uomo della Nazione, campione nelle partite. Uno di quelli che mettono la firma quando davvero serve: partite scudetto, finale mondiale e finale di Coppa Uefa.

Video Maradona

È stato uomo del popolo e del sogno impossibile. I video che più devono essere rivisti di lui non sono le sue giocate (rabone, pallonetti, sombreri e dribbling rotanti), ma ciò che faceva per aumentare la stima negli altri. E allora mi riferisco ai banchetti in madre patria; agli scherzi negli spogliatoi; i discorsi davanti alla folla; le dichiarazioni sibilline; l’atteggiamento a petto in fuori in campo.

Cos’ha rappresentato Diego Armando Maradona?

Questo è ciò che di più prezioso “il pibe de oro” ci ha lasciato. Quel sapere diventare leader di un popolo calcistico: napoletano o argentino che sia. Dicevano di lui che quanto più gli davano poche possibilità di vincere e tanto più il suo fuoco vincente ardeva.

Oggi, come oggi, non esiste una figura calcistica così. Uno show-man che ha saputo portare l’ego smisurato di Maradona (non di Diego) al culmine fra le vie della sua città e con il suo popolo.

I social dei nostri fuoriclasse sono nulla in confronto a questo. Ed è un peccato che un’altra parte di se stesso l’abbia distrutto. Ma di questo non ne voglio parlare. Perché su questo tanto è già stato scritto e detto. E probabilmente di questo lui stesso si è pentito.

Non sto santificando Diego Armando Maradona, così ribelle, così imprevedibile, così “poco equilibrato” rispetto ad altri numeri 10 della storia. Sto solo dicendo che aver abbracciato il lato “povero” del calcio e averlo portato fin sulle stelle ancora oggi gli fa onore.

È per questa parte di Diego e non di Maradona che tutto il mondo piangerà sempre.

Perché come è stato scritto sui murales del mondo con lui abbiamo capito che “Dio esiste”.

Youth la Giovinezza

Vogliamo ricordarlo sempre come in una delle sue ultime apparizioni sul grande schermo.


Quei palleggi con una pallina da tennis sempre con il piede mancino in “Youth” di Sorrentino? Io stesso non volevo crederci a vedere come ancora lanciavi la sfera in alto e puntualmente quella stessa ti tornava verso la terra, come se una calamita irresistibile la rigettasse dal cielo. E poi Lui, con solita maestria, la catturava e la lanciava nuovamente. Senza mai spostarsi da quel punto, come se già sapesse che sul suo collo mancino sarebbe tornata. Incredibile. Impressionante. Impensabile. Quasi contro le leggi della fisica.

Ma Lui, sempre, anche in campo, andava contro quelle leggi. Per cui, tutto sommato non c’è da stupirsi. Che poi, basta avere un po’ di capacità mnemonica, per far un confronto semplice semplice: un ragazzino che nei campi, altroché dissestati, di Villa Fiorito palleggiava con le arance, eseguendo lo stesso movimento coordinato alla perfezione. Come se non fossero trascorsi quasi 50 anni da quel video famoso. Come se in “Youth” la tua capacità di palleggio resti “evergreen“.

Diego Armando Maradona

Ripetiamocelo ancora una volta, calcisticamente parlando, l’unica cosa che mai gli si potrà rilevare come difetto è il poco uso del destro e infatti di goal suoi con questo piede ne abbiamo visti pochi. Ma direi che, da quel che creava alla Picasso o alla Dalì, l’altro piede bastava e avanza abbondantemente. Ma non mi riferisco soltanto a quei goal che almeno quattro generazioni hanno visto. Il mio orizzonte va anche a quel sottobosco geniale, spesso poco presente nei video, di organizzazione tattica, ripartenze rapide e “senza ostacoli”, nonché intuizioni fenomenali per mandar in porta i compagni.

Punizione Maradona contro la Juventus

Non c’è stato in Lui soltanto il colpo che resterà nella storia, come quell’Argentina-Inghilterra, dove lasciò la metà campo per arrivare fino al dribbling della vittoria e al goal.

Non gli appartiene solamente la punizione contro la Juventus, calciata in modo impossibile dall’essere umano per balistica, fisica e per grado di difficoltà.

Così come non gli appartiene soltanto il celebre colpo da metà campo al volo contro il Verona.

Insomma, per quanto abbia segnato meno di altri grandi cannonieri odierni o del passato, la qualità e il valore delle sue giocate compensa i numeri inferiori. Tanto è vero che non vado nemmeno a snocciolare i dati effettivi. Che poi, attenzione, non è mai stato il nostro 10 di oggi: o trequartista o seconda punta o “falso nueve”. Lui è sempre stato quello che oggi potremmo definire un “tuttocampista” o fantasista: rappresentava il vertice basso e quello alto della squadra; spesso riusciva in posizione di ala a creare l’occasione giusta; oppure accompagnava la prima punta e allora da trequartista avanzato segnava; talvolta ha anche fatto il solo metronomo.

Insomma uno che in campo la differenza la sapeva fare e la cui posizione fissa non esisteva, perché prendeva palla, sgusciava via e se nessuno lo fermava o mandava in rete il compagno o siglava il goal. Vedere per credere l’assist pazzesco della finale del Mondiale ’86. Marcato da tre tedeschi, è riuscito a trovare con l’occhio e con il piatto sinistro il corridoio per mandare in porta Burruchaga. Insomma, la sua presenza sul terreno di gioco non si vedeva nel numero di reti segnate, ma nell’insieme di giocate fatte. Alcune, appunto, da lasciar far luccicare anche tifosi e allenatori nemici.