Froggy, il capitano silenzioso!

Dopo il capitano in campo, quello ex sugli spalti, l’Inter trova il capitano del cuore, Andrea Ranocchia, per tutti Froggy.

Come sempre a noi interisti le situazioni banali non piacciono, anzi sembra quasi che il nostro ambiente naturale sia quello dell’anomalia. Così in una settimana scopriamo che il capitano bomber delle ultime stagioni non merita più di portare i gradi che passano sul braccio del portiere, figura silenziosa e seriosa, che riceve la fascia con gioia facendo quasi finta nelle interviste, che non la senta come un grande orgoglio. Il centravanti degradato invece si offende del trattamento ricevuto, o almeno è questa l’impressione che traspare fuori da Appiano, e inizia una guerra silenziosa con la società fatta a colpi di Twitter, storie su Instagram, messaggi criptici e un infortunio che ha suscitato più di un dubbio nell’ultima settimana. In questa bizzarra situazione ieri sera l’Inter è scesa in campo per il ritorno di Europa League con il Rapid Vienna e al 18′ del primo tempo si è ricordata di avere tra le sue fila anche un altro ex capitano, oltre a quello che siede nei box a bordocampo, impassibile con un cappellino calato sugli occhi: Andrea Ranocchia, detto Rano dai compagni e Frog, o Froggy da noi tifosi.

Da Zanetti a Ranocchia

Eh sì, perché nel recente passato c’è stato un tempo in cui la fascia appena sfilata dal braccio di Zanetti, ritiratosi, passò con un certo consenso a quello di Froggy, visto all’epoca come il futuro della difesa italiana. Quando arrivò all’Inter nell’anno del post triplete, Materazzi lo incoronò come il nuovo Nesta e lo prese sotto la sua ala, con l’idea di lasciargli in eredità anche il numero sulla maglia. E quel ragazzone alto e piazzato, piuttosto elegante, uso al gol, per di più di testa, suscitava l’entusiasmo dei tifosi vogliosi di avere nuovi idoli da amare dopo il ritiro o la partenza degli eroi del triplete. Orfani dei vari Cuchu Cambiasso, Deki Stankovic, Pupi Zanetti, el Principe Milito, Wally Samuel, non vedevamo l’ora di innamorarci di una nuova speranza e darle un soprannome che ce la facesse sentire vicina. E chi meglio di Ranocchia, ribattezzato subito Froggy, faccia pulita e qualità tecniche innegabili, quello ritenuto da tutti il più forte nel duo centrale del Bari (l’altro era il nostro canterano Bonucci), non avrebbe potuto incarnare al meglio la voglia interista di continuare a scrivere la storia, seppure con altri interpreti?

Purtroppo però le cose non vanno sempre come vorremmo che andassero: dopo un inizio più che buono, lentamente le cose iniziano a girare male per Ranocchia/Froggy. Infortuni, errori, insicurezze, topiche clamorose ne minano lo sviluppo e la possibilità di diventare se non il nuovo Nesta, almeno un difensore di sicuro affidamento. Bisogna anche essere onesti e riconoscere come la crisi di Froggy sia in realtà coincisa con uno dei periodi più complessi della storia dell’Inter. Ai problemi tecnici si sommano quelli economici e i cambi societari, tutti elementi che hanno portato gli immediati anni post triplete all’impoverimento della rosa e a risultati veramente scarsi. E il capitano di quegli anni, era visto come il parafulmine di ogni guaio: ogni sconfitta, ogni gol preso era attribuibile a lui. Non che Froggy non facesse errori, e non fosse in certe occasioni responsabile di gol subiti e quindi di conseguenza di qualche sconfitta, ma per un certo periodo era stato assunto a emblema del fallimento dell’Inter di quegli anni: “dove vogliamo andare fino a che facciamo giocare Ranocchia… pure capitano!”. Gli occhi teneri con cui l’interista guardava alla grande speranza, si sono così nel tempo induriti e hanno guardato con disperazione a quel lungagnone che avrebbe dovuto guidare la difesa interista. Fischi su fischi sulla testa del povero Froggy. Come se fosse solo colpa sua.

Forse il punto più basso del rapporto tra tifosi e Ranocchia lo si è raggiunto in occasione della partita di Coppa Italia contro il Napoli, quando Froggy interviene fuori tempo su una rimessa laterale al 92′, spianando la strada al gol di Higuain che ci eliminerà dalla competizione e lascerà Macini in ginocchio davanti alla propria partita a chiedersi cosa fosse successo. Poi prestiti in Inghilterra e alla Sampdoria, con i ritorni alla casa madre vissuti sempre come una iattura da parte dei tifosi e senza una parola fuori posto da parte di Ranocchia. Froggy non ha mai risposto, non ha mai polemizzato, né fatto proclami o richieste di sostegno. Ha sempre badato a lavorare nel tentativo di ritrovare un posto nella sua Inter. Fino alla scorsa stagione, quando durante il ritiro precampionato un tifoso non ebbe di meglio da fare che insultare Ranocchia che era lì sotto il sole ad allenarsi. Spalletti sentì tutto e redarguì il tifoso, guadagnandosi in un istante la fiducia dello spogliatoio e dando una boccata di ossigeno a Ranocchia: non era un reietto lì per caso, ma parte integrante della squadra.

E così ha badato a continuare a comportarsi per tutta la stagione, in silenzio, testa bassa e pedalare, disseminando qua e là qualche perla di interismo, di quello vero. Così lo vediamo contro la Lazio, in quella partita che ci regalò la Champions smaniare per entrare in campo, farlo, saltare un po’ a caso sulla battuta di quel calcio d’angolo, e esultare come se l’avesse presa lui quella palla e non Vecino. A fine partita dichiarerà che voleva entrare perché si sentiva qualche cosa dentro, e che se non lo avessero fatto entrare, sarebbe entrato da solo.

Ranocchia, l’interista

Quest’anno il campo lo ha visto solo in tre occasioni: contro il Benevento dal primo minuto in coppa Italia, contro il Bologna da centravanti aggiunto con una abnegazione commovente, e ieri sera, titolare in Europa League. E al 18′ quel gol, che gli mancava da tanto, ma che tutto lo stadio ha salutato come fosse stata una festa. Perché in questi anni Froggy è diventato un uomo e con lui è cresciuto anche il rapporto che il tifoso ha con lui. Gli interisti non cercano più tra i suoi piedi il nuovo Nesta: purtroppo è andata così, gli infortuni, la sfortuna, la squadra in difficoltà nella quale ha giocato, forse una certa fragilità mentale in qualche momento, e i suoi errori ne hanno limitato la crescita tecnica, ma riconoscono in Ranocchia, quello che ha portato la fascia dopo Zanetti, una brava persona, un ragazzo serio, un interista. Un interista che ha saputo passare i momenti più difficili, e trovare comunque il modo di togliersi qualche soddisfazione in campo, e fuori, dove evidentemente è uno di quei leader che tanto cerchiamo, un esempio per i compagni che hanno dimostrato il loro affetto e rispetto nel festeggiare il suo gol insieme a lui che si batteva il petto e poi faceva con le dita la L di Lorenzo, suo figlio.

“Mi reputo un interista. L’interista è nato per soffrire, ma quando si portano a casa dei risultati e dei trofei se li gode più di tutti gli altri”, bravo Andrea, tu sì che ha capito tutto. E ora da ex capitano, sopravvissuto a una tempesta, spiega al penultimo capitano dell’Inter cosa significhi veramente amare questa maglia. E già che ci sei, dai qualche ripetizione anche a tutti quelli che adesso che il compagno mal sopportato è fuori, si mangiano il campo, mentre prima sembravano passeggiare…