Demiral, Calhanoglu e Under pro Erdogan: condannarli o no? Serve un organismo internazionale, non i social

Demiral, Calhanoglu e Under esultano Pro Erdogan? Che fare? Condannarli o meno? Ma è compito nostro?

Sia ben chiaro: che Demiral, Calhanoglu e Under facciano il saluto militare, insieme ai compagni della Nazionale, dopo il goal non è atto da prendere come esempio morale. Fino a prova contraria sono finiti i nazionalismi e totalitarismi del ‘900, quelli del fascismo, comunismo e nazismo e nessuno oggi è obbligato a esaltare pubblicamente il proprio dittatore. Cioè non credo che i vari Demiral, Calhanoglu e Under siano stati minacciati di fare quel che hanno fatto. Sia in campo, sia, per qualcuno, anche sui social.

Diciamo che come atto pubblico poteva essere evitato. Ma, come ha poi chiarito lo stesso turco del Milan “Gioco per la nazionale e quando lo faccio la politica è da un’altra parte. Noi giochiamo a pallone, ma siamo al 100% con la nostra nazione. Anche se comunque non sempre è tutto bello“, il ricorso al simboloè un’usanza della stessa squadra rossa. Non è la prima volta che lo fanno sostanzialmente.

Ora amare la propria Nazione ci sta e lo si può comprendere. Certo che al giorno d’oggi, con i social network così espansi, i giocatori dovrebbero anche capire che le loro figure non sono più figure sportive, ma influencer mediatici. Quindi prima di postare qualcosa, soprattutto in situazioni di tensione internazionale, dovrebbero pensarci ben tre volte. La domanda che loro si potrebbe rivolgere è: che esempio date ai nostri e vostri figli futuri? Appoggiamo chi fa la guerra? Esaltiamo chi ammazza? Chi soppressa? Allora dobbiamo pensare che in un futuro vicino o lontano questo mondo affaristico (la guerra arricchisce le nazioni, è risaputo) non finirà mai. Quindi essere di buon esempio per le prossime generazioni è compito di tutti. Nessuno escluso.

Le reazioni social e il perbenismo occidentale

Assodato che il buon esempio, il buon costume e la morale pacifista devono essere trasmesse. Resta da capire se i social, oggi più che mai, siano un tribunale. A mio giudizio no. Non è compito nostro aizzare, protestare pubblicamente e condannare un giocatore per le proprie scelte personali. Uno, perché siamo davanti ai classici leoni da tastiera che si sfogano. Due, perché semplicemente i vari twitter, instagram e facebook consentono una facile soluzione: togliere il following a quel profilo. Non mi va più cosa dice o cosa scrive? Benissimo, non lo seguo più. Non mi faccio il fegato marcio. Non lo insulto. Ricetta semplice ed efficace.

Noi, popolo dei social, che diritto abbiamo di giudicare o condannare un giocatore per un post? Nessuno. Quel giocatore cerca di fare o non fare il bene della nostra squadra. Noi, come tifosi, a quello dobbiamo pensare. Caso mai dobbiamo criticarlo se non gioca bene, se difende male, se non si impegna. Altro non c’è dato.

A noi che sia fascista, comunista, bellicoso o pacifista fondamentalmente non interessa. Ma davvero gli italiani che oggi e in questi giorni si stanno scatenando sui social non sanno che o non intuiscono che fra i nostri beniamini magari ci siano fascisti di vecchio stampo o sfegatati comunisti? Suvvia, non saremo tutti così ingenui da credere il contrario. E di esempi se ne cerchiamo, ne troviamo ovunque.

Il perbenismo occidentale e i mass media

Il punto è che la società mass-mediatica di oggi ci influenza e orienta ben di più di quello che pensiamo. Perché? Perché ci mostra o convince delle malefatte dei turchi (e le foto e le dimostrazioni ammettono che è così e sono atti da condannare), ma ci tiene nascoste quelle di altre nazioni. E’ il gioco classico del perbenismo occidentale: alcune azioni vengono giustificate in nome di “atti di pace” e altre condannate in nome di “atti di dittatura”. Ma la guerra è guerra comunque la si faccia. Atto esecrabile, vergognoso e putrido dell’uomo.

Quindi ci sono state in passato nazioni (gli USA per esempio) che hanno compiuto azioni belliche sanguinose, ma lo stesso hanno potuto giovarsi dell’appoggio di tutti i media per esaltare i propri eventi sportivi. Insomma il caso Erdogan non è il primo e non sarà l’ultimo.

Dispiace e tanto per il povero popolo curdo che ha aiutato con tutto il proprio sangue la causa occidentale per combattere il terrorismo. Inutile negarlo. Sarà un’altra strage quella che verrà compiuta al confine curdo. Perciò i giocatori, a maggior ragione, non devono esaltare questi atti, ma devono saper usare i propri gesti e le proprie parole con moderazione. Ma da qui a condannarli ce ne passa…

Anche perché, rispetto a quello che hanno fatto Demiral, Calhanoglu e Under (al contrario) Hakan Sukur e Deniz Naki, con maggior consapevolezza, invece si sono posti contro. Il libero pensiero è libertà d’azione. C’è chi apprezzerà maggiormente più il gesto e le dichiarazioni di questi ultimi due anziché il saluto militare della squadra turca.

UEFA: istituisca un organo di controllo

Forse, di fronte a una globalizzazione oramai cablata in tutto il mondo, è meglio che le cosi cambino. Più che i tifosi-social, quelli degli spalti e le singole iniziative, come quella della tedesca St.Pauli contro il giocatore Sahin, la UEFA deve pensare a un’organismo internazionale che apra inchieste ed esamini casi spinosi e moralmente complessi come questi. Se ci deve essere un esemplare provvedimento, questo deve essere pari per tutti i giocatori e le Nazioni occidentali/orientali/oceaniche ecc… che oggi massacrano e fanno genocidi ovunque. Compreso quei giocatori che li appoggiano. Così, si determinerebbe una consonanza e parità di trattamento. Forse così ogni giocatore capirebbe che esaltare, alzare pugni in alto, a destra o sinistra, scrivere certe frasi può essere materia di riesame da parte di una commissione o organismo apposito.

I social non sono più soltanto un giochetto: like, # ed emoji. Sono uno strumento comunicativo al 100%. Chi li padroneggia, deve saperlo! E deve essere pronto a giustificare le proprie idee e azioni.

Fine della libertà d’opinione? Certamente NO. Ma se si vuole sperare in un mondo migliore, chi è personaggio pubblico oggi, deve pensare prima di scrivere a cosa scrive e e alle conseguenze possibili di ciò che scrive.

La questione turca e i tifosi di Milan e Juve

Anche perché la questione turco-curdo-siriana è molto complessa. Sparare messaggi pro guerra o contro la guerra senza sapere cosa è accaduto in passato in quelle zone è davvero un rischio di non poco conto. Erdogan non è la prima figura di potere militare che si affaccia nel nostro mondo. Ricordiamo Milosevic o Sadam Hussein o Bush o chissà quanti altri…

Quindi ridurre la questione a se amare o condannare un giocatore in base a un atteggiamento singolo è “una cosa senza senso”. Sarebbe ancor che meno intelligente fischiare l’eventuale presenza in campo a partire dalle prossime domeniche.

In attesa che la UEFA istituisca un organo che prenda provvedimenti necessari su tutte le questioni morali connesse alle guerre di pace e di genocidio, al tifoso piccolino spetta più il compito di giudicare il proprio giocatore per ciò che fa in campo e non per la causa politico-militare che appoggia.

I tifosi sono il tribunale pubblico sportivo di un giocatore. Come dice Calhanoglu: il calcio e la politica sono due cose diverse. E per fortuna tali devono restare. 

Il contenuto proposto è diretta responsabilità di chi l’ha scritto e non del sito, grazie