Calcio e Shoah: scopriamo un po’ di retroscena

Oggi è il famoso Giorno della memoria, ovvero quello in cui si ricorda la tragedia, anzi il massacro degli ebrei durante il periodo nazista. La scelta della data è dovuta a una decisione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1° novembre 2005. Ma la scelta non è stata casuale, bensì ricorda la liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, mentre passavano per porre in atto l’offensiva poi definita “Vistola-Oder”che avrebbe piegato i tedeschi.

Ora quello che abbiamo cercato di capire e di indagare con le fonti del web è se durante la Seconda Guerra Mondiale, quando si consumò la Shoah, il calcio scomparve o ebbe un ruolo non indifferente?

Quali vittime illustri fece il nazismo con la sua cattivera e imperterrita intolleranza antisemita?

Shoa: la partita della morte

Cominciamo con la famosa e decantatissima Partita delle morte” del 1942. Quella da cui fu ispirato il celebre “Fuga per la vittoria” con la famosa scena di Pelè che roteava in aria per segnare con la “bicicleta”e con Sylver Stallone che parava l’impossibile per vincere la sfida.

Nel film il tutto ebbe inizio nel 9 agosto 1942, a Kiev, quando una squadra mista di calciatori della Dynamo/Lokomotiv Mosca affrontò la corazzata dell’aviazione della Luftwaffe. Una partita organizzata da Von Steiner (ex calciatore del West Ham) e uno dei generali progionieri (Colby). Presto il comando tedesco intravede la possibilità di manifestare la grandezza del regime e crea apposta una squadra di calciatori professionisti, mentre Colby e gli alleati vi vedono un’inaspettata possibilità di fuga. La sfida sarà avvincente e super tesa, anche per evidenti motivi extra-calcistici.

In realtà la “partita della morte” si giocò nel 1942 fra ufficiali tedeschi e giocatori ucraini e non fu l’unica, perché si sarebbe trattato di un vero e proprio campionato svoltosi in Ucraina e che vide coinvolte uno squadrone di fenomeni ucraini, quattro formazioni tedesche, una ungherese, una rumena e quella della Ruch (Ucraina).

La squadra fondata da Kordik (chiamata Start) e dagli altri campioni vinceva una dietro l’altra e con ampi risultati le partite del torneo e quando iniziò a rappresentare un modo di resistere alla violenza tedesca, le stesse SS si impegnarono a fronteggiare anche nello sport la squadra vincente.

Non si capisce bene se – pare che ci sia un’altra versione – nella partita più importante, quella fra la Start e la Flakelf (costituita da giocatori tedeschi al fronte) le gradinate fossero piene di soldati per intimorire i sostenitori e gli stessi giocatori o se invece tutto si svolse in normale tranquillità.

La storia ci tramanda che la Start vinse ampiamente. Pochi mesi dopo molti di quella squadra furono arrestati e alcuni condananti. Il motivo ancora oggi non è chiaro: forse per tentatibvo di omicidio di alcuni ufficiali tedeschi o forse perché la vittoria aveva fatto clamore o ancora perché ci fu una ribellione/ tentativo di fuga scoperto.

La Lega di Terezin

Molto meno conosciuta e poco diffusa anche nel periodo post-bellico è la leggenda/verità della Lega di Terezin. Sono due le pellicole che parlano di questo luogo, situato in Repubblica Ceca: Terezin – Un documentario sul reinsediamento degli ebrei o anche noto come Il Führer dona una città agli ebrei di Kurt Gerron; Le Dernier des Injustes (L’ultimo degli ingiusti) di Claude Lanzmann, altro documentario.

Il ghetto di Terezin, che prima dell’arrivo delle SS tedesche, costituiva un carcere di massima sicurezza che diventò un campo di concentramento. Qui furono portati bambini, intelletuali, pittori, scrittori e musicisti ebrei mitteleuropei. Inizialmente il campo fu utilizzato dalla Gestapo per la propaganda nazista, con l’intento di presentarlo come zona autonoma di insediamento ebraico o modello nazista di insediamento per gli ebrei.

La collocazione particolare del luogo, in realtà, era importante per i tedeschi perché faceva da ancora di smistamento verso i luoghi della morte: Auschiwitz e Treblinka.

Proprio le note e l’arte rappresentarono a Terezin o Theresienstadt il modo in cui i prigionieri poterono attaccare, denunciare e conservare un tratto della proprio cultura.

Ma, in realtà , ci fu anche il calcio. In questo caso più che come espressione di rivolta rappresentò un felice svago. Ed è per questo che la Lega di Terezin, la cui documentazione ufficiale è pervenuta tramite documentazione scritta, non è stata consacrata dalla storia della “resistenza” alla Gestapo.

Resta il fatto che un campionato nacque e che si affrontarono squadre divise per mestieri: macellai, sarti, ortolani ecc…

C’era un regolamento e si giocava inizialmente a 11, poi a 7. Fu anche creato un Albo d’oro della Lega. Ovviamente a causa dei deportati, dei morti sul campo e di altri motivi spesso i gruppi di giocatori dovevano essere ricomposti, ma al pari della musica anche il calcio fu l’unica valvola di sfogo culturale di quel maledetto periodo.

La storia della Hakoah

Fra i supersiti che giocarono partite in quel campo c’erano anche alcuni giocatori o ex giocatori della squadra viennese dell’Hakoah, contraddistinta dalla grande H accompagnata dalla stella di David sul petto.

La compagine, che renderà famoso Matthias Sindelar (il giocatore che si oppose al nazismo) vinse nel 1925 il campionato, poi arrivò seconda l’anno dopo e fu semifinalista in Coppa d’Austria nel 1919/20 e 1922/23.

Poi quando Hitler invase l’Austria e si realizzò il forzato Anschluss tutti i trofei furono revocati e tanti giocatori furono deportati. La squadra viennese fondata da sionisti attreva moltissime simpatie fra gli ebrei e molti dei militanti erano sionisti. Molti furono uccisi, ma giocarono in campi come quello di Terezin sempre contraddistinti dalla stella sulla maglia.

Ma non possono mancare i tantissimi uomini di calcio, specie di origine ebrea, che il nazismo e il fascismo portarono alla morte.

Arpad Weisz: la sua storia

Arpad Weisz fu un famosissimo allenatore ungherese, la cui unica colpa era di essere di origine ebrea, che vinse con il Bologna ben due campionati, ma che morì nei campi di concentramento con tutta la famiglia.

Lui vinse con la squadra felsinea e anche con quella dell’Inter, scoprendo un tale di nome Giuseppe Meazza. Quando escono le nostre leggi razziali, emigra in Olanda e ottiene parecchi successi con Drodrecht. Poi fu arrestato e perì.

Raffaele Jaffe: fondatore del Casale

Raffaele Jaffe, di origine ebrea, ma coniugato con una ragazza italiana, fondò agli albori della Prima Guerra Mondiale il Casale per contendere lo scudetto alla mitica Pro Vercelli. L’impresa riuscì nel 1913-14, ma poi fu deportato per volontà dei tedeschi ad Auschwitz e morì.

Egri Erbstein

Uno dei faurori del Grande Torino fu Egri Erbstein, che era di origine ungherese e semita. Lui fuggì all’estero e riuscì a sopravvivere. Sarà poi una delle vittime sfortunate della tragedia di Superga.

Julius Hirsch: il tedesco del Karlsruhe

Julius Hirsch è un giocatore fra i più forti del Karlsruhe e Greuther Furth. Ex combattente per la Germania nella prima Grande Tragedia e vittima di un fratello morto in guerra, la sua sola colpa fu di origine ebrea e morì ad Auschwitz.

Eddie Hamel: l’americano dell’Ajax

Eddie Hamel è di origine americana, preciso di New York e si trasferisce con la famiglia in Olanda. Qui il club più blasonato di tutti (l’Ajax) lo mette sotto contratto. Molti di quelli che tifavano per i lanciari apprezzavano di lui le corse e i dribbling sulla fascia, ma il suo essere ebreo non lo salva: viene deportato e ucciso.

Calciatori eroi della Shoah

E poi, nelle storie di calcio che si intrecciano con la tragedia del genocidio ebraico spiccano quegli atleti, in particolare calciatori, che si impegnarono con opere pie e generose, pur rischiando la vita.

Ricordiamo così Martin Uther, campione della Cecoslovacchia che si offrì per aiutare numerose famiglie ebree proponendo loro nascondigli.

Poi, ancora Tadeus Geberthner, capitano della Polonia e soccoritore di molti ebrei grazie ai rifugi che offrì nelle librerie Geberthner & Wolff e infine combattente partigiano.

Danielius Zilevicius, lavoratore al Ministero degli Interni e calciatore della Nazionale lituana, che si impegnò con la moglie Ona e la suocera a nascondere una bimba ebrea e la salvò dalla morte certa come deportata.

Come potete ben vedere da quel poco di materiale che abbiamo raccolto dal web il calcio non morì, così come non scomparve a livello delle competizioni ufficiali, ma rappresentò specie nei campi di deportazione, laddove era possibile una delle ultime parvenze di umanità e svago concessa dalla Gestapo. A volte fu una delle voci per ribellarsi moralmente dalla violenza subita.

E infine molti calciatori e sportivi divennero emblemi ed eroi di resistenza e abnegazione da pagare addirittura con la morte.

E anche in loro onore che la Shoah non andrà mai dimenticata!